Al Ven:.mo e Pot:.mo Fratello
Clemente Ferullo
Gran maestro Aggiunto
“Il sole di colui che non ti riconobbe è tramontato, ma esso risplende per chi ti conosce.
Il tempio di chi ti ha assalito è nelle tenebre, mentre tutto il paese è nella luce!
Chi ti pone nel suo cuore, o Amun, il suo sole brilla”.
(Ostracon 5656 – British Museum).
Carissimo Clemente,
desidero anzitutto ringraziare te, la Sorella Maria Antonella e tutte le Sorelle e i Fratelli della R:.L:. Janua Coeli per quanto è stato fatto nelle giornate dell’11 e 12 novembre, sia nel Tempio, sia in ambito profano, con la preparazione del convegno dal titolo: “Egitto dei Neter”, che terremo, come Associazione Culturale Anthropos, in data prossima dall’Equinozio di Primavera del 2017.
Un ringraziamento particolare al Professor Armando Mei, che ci ha deliziato con una conferenza di altissimo livello e che ci ha fatto sentire il profumo della ricerca: profumo che dovrebbe accompagnare costantemente il nostro lavoro, volto alla conoscenza.
Il convegno che terremo all’Equinozio di Primavera non intende rivisitare genericamente la grande sapienza dell’Antico Egitto, ma ha lo scopo preciso di identificare il nesso esistente tra la ritualità massonica e la tradizione egizia, trasmessa nei secoli dall’orfismo, dal pitagorismo, da Platone e dai neo platonici, dagli umanisti, che hanno riscoperto e tradotto i testi attribuiti ad Ermete Trismegisto, dagli sforzi cognitivi di Giordano Bruno e di Athanasius Kircher e di altri, fino a giungere, velata sotto i veli giudaico cristiani, nei rituali massonici proposti nelle versioni del XVII secolo.
In particolare, intendiamo mettere in evidenza l’equipollenza concettuale esistente tra la chiave di volta della ritualità massonica, costituita dal Prologo del Vangelo dell’apostolo Giovanni e la teologia egizia, nelle sue varie declinazioni.
Tale equipollenza consente di affermare che la ritualità massonica è, in altra forma, la prosecutrice della tradizione dell’Antico Egitto, secondo una catena tradizionale riconoscibile e ininterrotta.
Il riferimento tradizionale all’Antico Egitto è del resto dichiarato sia nei rituali dell’Ordine, sia in quelli del Rito Scozzese.
Nel Rituale di 2°Grado, infatti, si legge: “L’Architettura ebbe la sua culla in Egitto, paese originario della Libera Muratoria”.
Nel Rituale del 4° Grado si legge: “Qui si manifesta la saggezza della Massoneria; essa è la sola che agisca sui suoi adepti con una lunga serie di iniziazioni secondo il procedimento dei sacerdoti dell’’Egitto, di cui riconosce l’insegnamento come il punto di partenza. Questo procedimento fu anche quello delle grandi Scuole filosofiche dell’antichità. Fu quello delle valenti Corporazioni di Maestri d’Arte che durante il Medio Evo conservarono nel mistero delle loro Logge la libertà di pensiero, allora impossibile a praticarsi pubblicamente”.
Negli Old Charges si fanno espliciti riferimenti a Euclide, Pitagora e Ermete Trismegisto come ai fondatori antichi della Massoneria, ossia a tre sapienti che hanno trasmesso la sapienza egizia.
Un’intelligenza, che è un’armonia invisibile, governa l’universo e questa intelligenza e questa armonia è il Logos eracliteo, che nel Prologo di Giovanni è theos ed è in Arché presso theon e poiché una parte del Logos è compresa in noi, ecco che noi possiamo accedere alla sua conoscenza ed ecco il motivo per il quale il Logos “è la luce degli uomini”.
Giovanni evangelista, ci consegna la chiave per comprendere l’insieme della ritualità massonica.
Nel Principio era il Logos, il Logos era presso Theon e il Logos era Theos.
Egli era in principio presso Theon: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era zoé e zoè era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
“Nel Principio (arché) era il Verbo (logos, ndr) e il Verbo (logos, ndr) era presso Dio [theon,ndr] e il Verbo (logos, ndr) era Dio [theos, ndr]”.
La traduzione che assegna al Logos il significato di Verbo e al Theos quello di Dio non rende la complessità dei significati.
Il nome del divino è un verbo sostantivato e pertanto sottende un’azione, un agire, un continuo divenire.
Théos, infatti, deriva da Theeîn, correre e theâsthai, vedere e dà, pertanto, l’idea di un procedere verso l’evidenza, di un continuo manifestarsi.
La relazione Arché-Logos è come quella di Beit e Reshit, implicante l’attivarsi e il manifestarsi del pensiero nella vita.
La teologia eliopolitana ci consegna un concetto simile, reso attraverso l’immagine di Atum, il demiurgo, il quale crea il mondo attraverso lo sputo o la masturbazione. Nella Stele di Sciabaka, testo di teologia menfita, si afferma che il mondo è stato creato mediante il cuore e la lingua, “cioè la volontà e la parola, identificate miticamente con Horo e Thot. Questa creazione intellettuale – commenta Edda Bresciani – per «logos» si oppone alla meno elevata concezione eliopolitana”. [1]
Nella teologia sincretica tebana riguardante Amon l’equipollenza concettuale con il Prologo si mostra con maggiore evidenza.
Nei “Mille canti in onore di Ammone di Tebe” si legge:
“L’Ogdoade fu la tua prima manifestazione, finché tu non avesti compiuto il suo numero, essendo solo.
Il tuo corpo era nascosto fra (quelli degli )antichi, tu ti sei nascosto, essendo Ammone, alla testa degli dèi.
Ti sei trasformato in Ta-Tenen per creare le divinità primordiali, nel tuo tempo primordiale.
La tua bellezza fu adorata come il «Toro di sua madre», poi ti allontanasti, diventando l’abitante del cielo, stabilito sotto la forma di Ra. Tu sei venuto, essendo i padri che hanno fatto i figli, per costituire un’eredità eccellente per la tua progenitura. Sei stato il primo a venire in esistenza, quando nulla esisteva.
Non c’era nell’età primigenia nessuna terra senza di te, gli dèi si sono manifestati dopo di te.
L’Enneade era ancora chiusa nelle tue membra, tutti gli dèi erano ancora chiusi nel tuo corpo.
Tu uscisti per primo, che tu dessi inizio alla Prima Volta, o Ammone, il cui nome è nascosto davanti agli dèi, tu Anziano, che sei più vecchio di questi, Ta-Tenen, che ha creato se stesso come Ptah. Egli starnazzò, essendo il Grande Starnazzatore, nel luogo dov’era, solo: egli cominciò a parlare in mezzo al silenzio; aprì tutti gli occhi e fece che vedessero, egli cominciò a gridare, mentre la terra era inerte. Il suo urlo si diffuse, quando non c’era altro che lui. Mise al mondo ciò che esiste e fece che vivesse, fece che tutti gli uomini conoscessero una strada per camminare, sicché vivono i loro cuori quando lo vedono. O primo che vieni in esistenza nella Prima Volta, Ammone che vieni in esistenza al principio! Non si conosce l’aspetto della sua (prima) forma: nessun dio non c’era allora alla sua presenza, non c’era nessun altro dio insieme con lui, che potesse dire la forma che aveva.
Non aveva egli una madre che abbia potuto dargli un nome, un padre che l’abbia generato e che possa dire: «Sono io». Lui che ha tratto il suo uovo da se stesso, potente dalla nascita inconoscibile, che ha creato (lui stesso) la sua bellezza. Dio divino che da solo è venuto in esistenza: tutti gli dèi si sono rivelati, dopo che egli ha cominciato ad esistere”.
Così come per quanto riguarda il Prologo, anche per i testi egizi andrebbe fatta un’analisi dei testi, riportandoli alla loro area semantica originaria, poiché ogni traduzione è un tradimento dei testi.
Un’analisi dei testi e dell’etimologia originaria di ogni singolo vocabolo può aprirci orizzonti di conoscenza inaspettati, grazie ai quali possiamo ritrovare le antiche radici e resuscitare, noi che dovremmo esserne i custodi, l’antica sapienza.
Mi permetto di fare alcuni esempi, come possibile traccia di lavoro.
Alla costellazione del Toro è associato l’egizio Horus e il suo occhio, Aldebaran, è la stella più luminosa delle Iadi: le lacrime del Toro.
Il nome antico di Aldebaran era Sar.
Ar è verbo che significa ascendere. La S ne determina una coniugazione causativa.
Se Ar è ascendere, S-Ar è causare l’ascensione.
Aldebaran è, dunque, indicata come la stella che causa l’ascensione.
Aldebaran è l’occhio del Toro, quindi l’occhio di Horus, l’Udjat, al quale sono correlati numerosi significati numerici (in particolare il 64 e le sue frazioni).
L’Arca dell’Alleanza, che Manetone ritiene essere uno strumento rituale egizio, è chiamata Aròn (‘aron).[2] Aronne (Aaròn), il fratello di Mosè (ora da molti studiosi identificato in Akhenaton), come lui sacerdote egizio di alto rango, è colui il quale si occupa dell’Arca dell’Alleanza.
Ar On, stando al significato di Ar, vorrebbe dire ascensione al cielo (On-Anu, il cielo).
As Ar è il nome egizio di Osiride, divinità associata ad Orione.
Nel complesso, l’insieme delle due costellazioni del Toro e di Orione sembrano riferirsi ad un re divino: Sar (Aldebaran) e As Ar.
La radice As, che in indoeuropeo significa “essere” (il celtico Esus, l’umbro Aesun)[3] la ritroviamo nel ceceno[4] , lingua nella quale As ar significa “ispirazione divina”. Gli antenati linguisitici dei ceceni sono gli Hurriti. La lingua urastica, come quella hurrita, apparteneva ad una particolare famiglia a cui, le più vicine fra tutte sono alcune lingue del Caucaso. In sanscrito Svara è il suono e Svar è la luce. Sharrukin (grecizzato in Sargon) è il nome di un grande re-sacerdote babilonese. Sar (Shar) in accadico è il Re. Dunque il significato di Sargon (Sar – gon) è stirpe di re, nato da Re.
Vediamo ora le Pleiadi, gruppo di stelle legate al Toro, che dagli antichi Egizi erano dette Terra delle Migliaia. Se consideriamo che mille si scrive in egiziano antico con il simbolo del fiore di loto, Terra delle Migliaia potrebbe avere anche il significato di Terra del Loto.
Aldebaran, le Pleiadi, le Iadi sono dunque un punto di riferimento di grande interesse. Cosa si nasconde dietro il richiamo all’occhio del Toro?
Aldebaran, abbiamo visto, era la stella dell’ascesa. Lo era per molte culture antiche. Gli indù, ad esempio, la chiamavano Robini, Stella dell’ascesa. In Ebraico Sar significa volare via, Shar sapere e anche porta.
L’occhio di Horus, dunque, è una porta, uno strumento per salire al cielo?
Nell’Europa della cultura megalitica (in seguito celtica), la levata eliaca di Aldebaran indicava a maggio l’inizio dell’estate (Cet Samain) e la levata eliaca di Antaers (Scorpione) la fine dell’estate: Samain.
Hadingham[5] ci riferisce di un “Culto di Maggio” che dà origine ad un calendario con l’anno diviso in otto parti, tra le quali il primo maggio e il primo novembre. Questo fa pensare ad Aldebaran (Toro) e ad Antares (Scorpione): l’uno in opposizione all’altro nello zodiaco. Antares, Anti Ares, anti Horus, ossia Seth.
Troviamo qui l’antica associazione tra Seth e la costellazione dello Scorpione, che si trova esattamente all’opposto di quella del Toro nello zodiaco.
Aldebaran è divenuta una gigante rossa da appena 500 milioni di anni, quando sulla Terra c’erano le prime forme di vita.
Horus, il Toro, è figlio di Iside (Sirio, la Stella del Cane) e di Osiride (Orione). Il suo occhio è la Stella dell’ascesa: Aldebaran, la stella più luminosa delle Iadi, il cui asterismo è una V, il cui significato simbolico è di grande importanza.
La madre di Horus è Iside, Ast (‘st) in egizio antico, associata a Sirio, Spdt, la Puntuta, ritenuta la sede del seme che ha dato vita alla Terra, la “Nutrice” (Iside, nella sua forma di Renenunet è detta: “La fornitrice di nutrimento”, in quanto dea madre del grano) . Un riferimento, questo, che ci riporta al pane terrestre e al pane celeste. A Iside-Sothis-Sirio (la Digitaria dei Dogon) è associata la funzione di nutrice (il “pane celeste”).
Vediamo chi erano gli Shemsu-Hor, i Compagni di Horus, re-sacerdoti del periodo predinastico, periodo nel quale gli dèi dall’aspetto leonino (o dell’era del Leone?) governavano la terra.
Nel Papiro di Torino (XIX dinastia – 1300 a.C.) è indicato che gli Shemsu-Hor o Anime Divine[6] (seguaci di Horus, Compagni di Horus, Emanazioni di Horus), discendenti degli Anziani neteru (divinità), regnarono a On (Eliopoli) per 13.420 anni e prima di Nemes, il primo re dinastico (3.100 a.C).
Gli Shemsu Hor, i Compagni di Horus, sono dunque esseri divini i cui capi si chiamarono Wa e ‘Aa, detti “Signori dell’isola della violazione” o i “due compagni di Calvi dal cuore divino”. (‘Aa è nome che ci richiama l’hurrita A’a, forma indoeuropea del dio Enki, Ea, l’uomo-pesce, l’Oannes, civilizzatore della Mesopotamia).
Sono, questi miei appunti, solo degli spunti. Abbiamo molto lavoro da fare, ma è un lavoro affascinante, soprattutto perché è un lavoro di conoscenza che ci riporta nella “Casa della Vita”, ossia a casa.
IL GRAN MAESTRO
VEN∴MO E POT∴MO FR∴
SILVANO DANESI
Roma, 14 novembre 2016 E:.V:.
[1] Edda Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Einaudi
[2] Franco Bandini, “Il tempio nella planimetria gerolosomitana”, in “I templari” a cura di Goffredo Viti – Certosa di Firenze – atti del convegno “I Templari e San Bernardo di Chiaravalle” – 23/24 – 10 – 1992
[3] T.W.Rolleston, I miti celtici, Longanesi
[4] Vedi in proposito Antonio Manetti – Hera – N.32 agosto 2002
[5] Handingam – I misteri dell’antica Britannia, Newton, a pagina 98
[6] Vedi Andrew Collins, Il sepolcro degli ultimi dei, pag.102