Ai componenti la Commissione Rituali
Carissimi, vi invio questa mia riflessione con l’intento di contribuire al vostro lavoro di restauro tradizionale dei Rituali dell’Obbedienza.
Vorrei partire proprio dal concetto di tradizione, che condivide la propria etimologia e la propria area semantica con quelli di traduzione e di tradimento.
L’etimologia ci consegna il significato di trans-dare, ossia di trasferire oltre, di trasmettere, di consegnare.
La tradizione, pertanto, non è un sistema ideologico, ma è un’azione: l’azione del trasmettere, del trasferire, del consegnare.
Tale azione ci pone due questioni.
Prima questione: chi trasmette, trasferisce, consegna, mentre agisce è custode dei beni che trasmette, trasferisce, consegna ed è responsabile della loro integrità.
Seconda questione: cosa si trasmette, si trasferisce, si consegna?
Si consegna un’eredità, che ha un’origine, una storia, un’attualità.
Essendo custodi di un’eredità e volendo essere tradizionali, è necessario trasmettere, trasferire, consegnare l’eredità, nella sua originalità corredata dalla sua storia e incardinata nella sua attualità.
Consegnare l’origine corredata dalla storia è operazione essenziale, in quanto consente ai destinatari della consegna di ricercare liberamente, di interpretare e di attualizzare, senza filtri e sovrapposizioni. Ogni generazione di custodi ha il diritto di poter risalire alla fonte originaria.
Incardinare nell’attualità l’eredità è tradurre e, nel contempo, estrapolare il loglio dal grano, ossia restaurare l’eredità nella sua originalità, distinguendo i tratti originali dalle sovrapposizioni, dai possibili corrompimenti, fortuiti o voluti. L’eredità va denudata e riportata alla sua essenzialità.
La tradizione si volge al suo significato di tradimento quando l’eredità viene consegnata a chi non ne è il destinatario.
Il tradimento non attiene alla trasmissione, al trasferimento e alla consegna di nozioni, di corrette liturgie, di schemi rituali.
Il tradimento è consumato all’origine dell’iniziazione di un profano, quando si consegna a chi non ne ha le qualità e l’effettiva disposizione un’eredità che non sarà in grado di fare propria. Il vero traditore è il presentatore di un profano e suoi degni compari sono i tegolatori. Sono questi i compagni che hanno ucciso Hiram.
“L’esoterismo non va inteso come un rebus o una scrittura segreta – scrive opportunamente R.A.Schwaller De Lubicz – ma come lo «spirito della lettera», cioè ciò che non può essere trasmesso chiaramente, non che ci sia la volontà di nascondere, ma a causa dell’incapacità dell’intelligenza «cerebrale» a comprenderlo”.
La questione del segreto massonico, causa di equivoci e incomprensioni, è frutto della volontà di potenza, della tracotanza di finti iniziati, sedicenti maestri, che per assumere un ruolo contrabbandano nozioni accessibili a tutti, purché ne abbiano voglia, come segreti da svelare e dei quali sono i detentori.
Il segreto è nell’esperienza che ogni iniziato fa durante il suo cammino e che è progressiva acquisizione dell’armonia tra dimensione materiale ed emotiva, dimensione animica e energetica e dimensione spirituale e divina.
Il segreto può essere nel lavoro comune di un’Officina, quando si coagula in un eggregore, ossia in una forma pensiero, o in un campo di forma energetico o in un campo emozionale comune o, ancora, in una “follia” condivisa, che, nel Fedro di Platone, si presenta come terreno stesso della conoscenza.
Questi segreti sono esperienze intimamente vissute e, in quanto intimamente vissute, intrasmissibili e, conseguentemente, anche il giurare sul mantenere il segreto sui lavori non ha nulla di esteriore, ma ha, più coerentemente, il significato del sigillare un’esperienza, per conservarla e custodirla.
Le Tavole, per quanto architettoniche, sono sostegni. Tabula (greco teinô – stendo) è il sostegno sul quale si stende il proprio parlato; è uno strumento per comunicare nozioni più o meno elevate.
La Tavola non sostituisce l’esperienza.
Pessimi maestri sono coloro i quali, anziché porgere una mano a chi incespica nel salire la faticosa via dell’iniziato, si pongono come tracotanti “sapienti” e possessori di “segreti”.
Anche la Tradizione, in quanto eredità, è un supporto e uno strumento ed è questo il motivo per il quale va consegnata integra della sua origine e della sua storia, affinché possa essere attualizzata, vissuta, vivificata dall’esperienza.
Fatta questa lunga, ma necessaria premessa, passo, quale possibile esemplificazione, ad una riflessione su un argomento specifico: il Delta.
Il Delta non è un triangolo equiangolo, ma rappresenta il pyramidion, ossia la cuspide della piramide: la parte in oricalco, che illuminata dalla luce del sole si accende come una fiamma sopra il tronco piramidale che lo sostiene, rivestito di bianco calcare e rifulgente di bianchezza. Così erano le pyramidi prima che gli arabi le scorticassero per costruire palazzi e moschee.
Fuoco in greco antico è pýr, da cui pyramidion e piramide.
La piramide è, dunque, pyramis (πυραμίς) che significa letteralmente “della forma del fuoco”. Il termine greco a sua volta proviene dal termine egizio per-em-us , dal significato di: ciò che va su, ciò che sale, così come il Libro dei morti è in effetti per-em-Ra, ossia ciò che sale alla luce.
Il pyramidion è il Ben Ben, la sacra collina primigenia che emerge dall’oceano primordiale del Nun e sulla quale Atum creò se stesso e la prima coppia divina. Ben significa generare e, pertanto, la sacra pietra Ben Ben è la generazione radiante, collegata alla Fenice, il mitico e favoloso uccello chiamato Benu, anch’esso venerato a Eliopoli, ove si diceva vivesse sul Benben.
“Altre versioni della prima alba raccontano di un airone, conosciuto presso gli Egizi come l’Uccello Bennu, che si librava sulle acque del Nun fino a che si fermò su una roccia. Non appena lo fece, aprì il suo becco e un grido echeggiò sull’impronunciabile silenzio del Nun. Il mondo fu riempito con “ciò che esso non aveva conosciuto”: il grido dell’Uccello Bennu “stabilì ciò che deve e non deve essere”. Così, l’Uccello Bennu, in quanto uno degli aspetti di Atum, il dio auto-creatosi, portò luce e vita al mondo. La roccia su cui l’Uccello Bennu si posò era venerata a Iunu nella forma delle pietra Ben Ben, che diventò il feticcio sacro più importante di Eliopoli e che era sormontato da una pietra piramidale, il pyramidion…” [Barbara Watterson, Alla scoperta degli dei dell’antico Egitto, Newton & Compton].
Generazione e ancora generazione, nella luce che è lo spirito. Una pietra radiante di luce è l’emersione della generazione e su di essa ha sede la Fenice, simbolo della continua rinascita nella luce.
Nel pyramidion sono incisi il disco alato di Horus, gli occhi di Horus e di Ra, il simbolo delle Enneadi di Eliopoli, il simbolo di Ra.
Dell’antichità del culto di Horus sono testimoni le iscrizioni del tempio di Edfu, dove si narra che all’inizio regnava il caos e le acque del Nun ricoprivano la terra. In seguito due divinità, il Grande e il Lontano (attributi di Horus), apparvero su una piccola isola che era emersa dalle acque primordiali. “Dai relitti galleggianti che si incagliavano sulle sue sponde, una delle divinità raccolse un bastone, lo spezzò in due e ne conficcò una metà nel terreno, vicino al ciglio dell’acqua. Non appena lo fece, un falcone emerse dall’oscurità circostante e si posò sul bastone. Immediatamente spuntò la luce su tutto il Caos e il falcone trasformò l’isola in luogo santo” [ibidem].
Il falcone è il simbolo di Horus, che in questa versione è dio delle origini.
Anche in questo caso abbiamo due soli, due luci: quella terrena, che associa sincreticamente Horus a Ra e quella celeste: una luce portata dal falcone che si posa sul bastone, ossia sull’asse del mondo.
Horus è detto anche “il viso”. In quel viso una grande importanza hanno gli occhi. L’Occhio di Horus (Aldebaran), l’Udijat come è ormai noto da studi condotti da valenti studiosi, è la rappresentazione grafica di proporzioni numeriche rappresentabili anche come frazioni (1/64, 1/32, 1/16, 1/8, ¼, ½, 1/1) che indicano, nel loro insieme l’unità in termini di 64/64
Il Delta con il Tetragramma è una traduzione giudaica del significato originario, così come l’occhio umano ne è la cristianizzazione, adottata dagli Illuminati di Baviera dalle ascendenze gesuitiche. Athanasius Kircher, neoplatonico, scienziato, alchimista, professore al Collegio Romano, seguace di Marsilio Ficino e della sua “prisca theologia”, studioso dei testi ermetici attribuiti ad Ermete Trismegisto, estimatore di Gian Battista della Porta, nel Magnes sive De magnetica Arte scrive che al centro di tutto c’è l’occhio radiante di Dio, che rappresenta il mondo archetipico. Dei quattro mondi (archetipico, angelico, sidereo ed elementare), quello archetipico è la diretta emanazione divina di quell’ «oscuro fulgore» che Platone definiva “tenebre luminose”.
Kircher scrive del triangolo della divinità, una e trina, con al centro l’occhio divino e con negli angoli le lettere del tetragramma e circondato dai nove cori angelici che si intersecano in tre triangoli splendenti.
Il Triangolo trinitario è necessariamente equiangolo, mentre il pyramidion segue la geometria della pyramide, il cui significato numericamente espresso ci è consegnato da Pitagora: dal 4 al 3, dal 3 al 2 e dal 2 all’Uno: il vertice del pyramidion, Fuoco radiante e punto infinitamente piccolo, ossia infinito. Abbiamo, in sintesi, anche i quattro stadi dello sviluppo spirituale dell’essere umano.
Non possiamo dimenticare che negli Old Charges massonici sono citati, quali riferimenti sapienziali, Pitagora, Ermete Trismegisto ed Euclide e che quest’ultimo ha scoperto che da un punto passano infinite rette: un punto infinitamente piccolo e infiniti raggi.
La pyramide, Per-em-us, ossia la base calcarea, terrena, sulla quale si erge il pyramidion dello spirito, è, nel suo insieme prodotto e custode dei numeri sacri della manifestazione: il Φ, ossia il numero aureo e il Π, ossia il 3,14 ed è il simbolo vivente della molteplicità, che si manifesta nella sua base quadrata, e dell’Unità, che è rappresentata dal vertice del pyramidion, un punto ideale infinitamente piccolo e di Fuoco, ossia il Fuoco semprevivente: Puro Pensiero che spira (Spiritus) nella manifestazione.
A me sembra, per concludere, che affrontando il tema del Delta, si debba anche considerare quanto è scritto nel Rituale del Grado di “Maestro Segreto” del Rito Scozzese Antico e Accettato, ossia che qui “si manifesta la saggezza della Massoneria; essa è la sola che agisca sui suoi adepti con una lunga serie di iniziazioni secondo il procedimento dei sacerdoti dell’Egitto, di cui riconosce l’insegnamento come il punto di partenza. Questo procedimento fu anche quello delle grandi Scuole filosofiche dell’antichità. Fu quello delle valenti Corporazioni di Maestri d’Arte che durante il Medio Evo conservarono nel mistero delle loro Logge la libertà di pensiero, allora impossibile a praticarsi pubblicamente”.
Se quanto è scritto ha un senso, mi pare inequivocabile che l’Egitto sia un punto di riferimento tradizionale fondante e che pertanto il Delta vada incardinato nella cultura egizia.
Non mi pare, pertanto, che il Delta debba contenere un occhio e tanto meno un nome, ma un punto, dal quale si dipartono raggi, così come dal punto apicale del pyramidion si dipartono i raggi di luce manifestativi.
Con i più affettuosi saluti e un triplice fraterno abbraccio.
IL GRAN MAESTRO
VEN∴MO E POT∴MO FR∴
SILVANO DANESI
Roma, 16.10.2016 E:.V:.