Il 24 settembre 2016 E:.V:: si è tenuta a Forlì la cerimonia relativa all’Equinozio d’Autunno alla quale ha partecipato la Gran Maestranza. Nel corso dell’Assemblea il Serenissimo Gran Maestro, Fratello Silvano Danesi, ha svolto una riflessione che riportiamo di seguito.
L’Equinozio d’Autunno inaugura il tempo della riflessione, ossia dell’attività esoterica nel senso etimologico di “dentro”, di interiore.
È questo il lavoro al qua-le si appresta ognuno di noi e al quale si appresta-no le Officine. È questo non solo il nostro dovere, ma anche il nostro intimo piacere: conoscere noi stessi.
Conoscenza è anzitutto ricordo, ri-accordo, ed esercitare la virtù del ricordo è la via privilegiata della conoscenza. Ed è del ricordo, care Sorelle e cari Fratelli, che intendo parlarvi breve-mente.
Un primo necessario ricordo riguarda la conoscenza della nostra storia, dalla quale traiamo le coordinate reali del nostro essere comunione tradizionale. Quello di cui vi parlo è un ricordo che ci riguarda da vicino. Alla festa onomastica della R.L. Real Gioseffina all’Oriente di Milano del 4 aprile 1807, al momento dei saluti si citano tre Logge: la Amalia Augusta di Brescia, la Reale di Forlì e l’Arena di Verona, quali corrispondenti della Real Gioseffina. Della forlivese Reale Augusta facevano parte: il sacerdote Girolamo Amaducci (Forlì 1774), Maestro Venerabile; il sacerdote Giambattista Masotti, l’ingegnere Domenico Casamorata, il tenore Giuseppe Siboni e l’avvocato Paolo Zoli. Una composizione interessante, sulla quale sarebbero opportuni approfondimenti. La Reale Augusta di Forlì sembra essere stata fondata nel 1807-1808 da Eugenio Beauharnais, Gran Maestro delle Logge d’Armata napoleoniche. Al Viceré Eugenio Beauharnais, costitutore del primo Grande Oriente Italiano insediato a Milano, nel 1805, il bresciano conte Giuseppe Lechi aveva ceduto il posto di Gran Maestro.
Nel giugno del 1805, infatti, il Generale Conte Giuseppe Lechi, Gran Maestro del Grande Oriente stabilito presso la divisione dell’Armata d’Italia nel Regno di Napoli, era intervenuto ad una seduta di cinque logge milanesi e di una bergamasca, dichiarando di essere incaricato di unire i due Grandi Orienti (quello costituito a Milano e quello operante presso la divisione dell’Armata d’Italia nel Regno di Napoli) in uno solo e medesimo corpo per fare della Massoneria un unico “centro di luce” in Italia. Sempre nel 1805 a Milano, fondato da dignitari di influenza bonapartista, si è insediato in territorio italiano pre-unitario il Rito scozzese, introdotto da Alessandro Augusto De Grasse Tilly, un nobile francese, che il 4 aprile ha siglato l’atto costitutivo del Supremo Consiglio dei Sovrani Grandi Ispettori Generali del 33° Grado.
Vorrei qui solo ricordare, a questo proposito, ad onore della storia e del vero, che il Rito Scozzese, al quale è intimamente collegata la nostra Obbedienza, è stato fondato il 31 maggio del 1801 a Charleston in ambito massonico Antient e che nessun documento giustifica l’attribuzione fondativa alle leggendarie Costituzioni dell’illuminista Federico II di Prussia.
All’indomani dell’Unità d’Italia, nel 1861, in Emilia Romagna erano presenti due Logge: la Severa a Bologna e la Dante Alighieri a Ravenna. Nel 1864 le Logge sono sei: la Garibaldi a Bologna, la Torricelli a Faenza, la Forum Cornelii a Imola, la Rubicone a Cesena, la Dante Alighieri a Ravenna e la Livio Salinatore a Forlì.
Sarebbe opportuna una ricostruzione storica più accurata di questi nostri ricordi storici, ma è ora di un altro ricordo che intendo brevemente parlarvi ed è il ricordo che riguarda la conoscenza di noi stessi e che attiene alla parte esoterica del nostro operare e ricercare.
“L’esoterismo non va inteso – lo dico con le parole di R.A. Schwaller De Lubicz – come un rebus o una scrittura segreta, ma come lo «spirito della lettera», cioè ciò che non può essere trasmesso chiaramente, non che ci sia la volontà di nascondere, ma a causa dell’incapacità dell’intelligenza «cerebrale» a comprenderlo”.
È necessaria un’altra specie di intelligenza, quella che secondo Eraclito alberga in noi esseri umani come porzione del Logos, come scintilla del “fuoco sempre vivente”. Giordano Bruno docet. Per lui, che chiama la scintilla anima individuale, questa non è altro che un frammento della grande anima del mondo e per questo il massimo arricchimento dell’anima è un «correre» verso la verità, ripercorrendo «a ritroso, verso le fonti, il movimento delle idee». (Candelaio).
Idee che, scrive Bruno ne “Il canto di Circe”, «si comunicano dalla prima mente al primo intelletto, per opera del quale (dopo che in qualche modo erano preesistite in un archetipo immenso) procedendo verso la natura vengono quasi a racchiudersi entro un margine commensurato e così prendono a sussistere secondo l’ordine naturale».
Lo «spirito della lettera» è l’essenza che sta nell’intimo dell’apparenza e il ricordo esoterico è “…l’attinta consapevolezza del proprio vero essere, la memoria … della propria origine urania prima che terrena, e quindi della presenza, destinata a prevalere, di un elemento divino…”.
“Mnemosine ci insegna che l’origine di tutti i ricordi, là dove il tempo non è ancora cominciato, è quella appunto che si deve recuperare”.
Scrive in proposito il mistico cristiano del XIII secolo Meister Eckhart: “Quando ero ancora nella mia causa prima, non avevo alcun Dio, ed ero causa prima di me stesso. Niente volevo, niente desideravo, perché ero un puro essere e conoscevo me stesso nel godimento della verità. Allora volevo me stesso e niente altro; quel che volevo, lo ero, e quel che ero volevo, e stavo libero da Dio e da tutte le cose. Ma quando, per libera decisione, uscii e assunsi il mio essere creato, allora ebbi un Dio; infatti prima che le creature fossero, Dio non era Dio: piuttosto era quello che era. Quando le creature furono e assunsero il loro essere creato, Dio non era Dio in se stesso, ma lo era nelle creature”.
Meister Eckhart introduce una distinzione fondamentale tra Dio e Divinità e questa distinzione introduce il limite della tensione conoscitiva. Scrive ancora Meister Eckhart: “Come quando di notte, a qualcuno che vuole rimanere sconosciuto e non dice il suo nome, si chiede: «Chi sei?», ed egli risponde: «Sono quello che sono», così il Signore, volendo mostrare la purezza dell’essere in se stesso, disse: «Io sono quello che sono» (Es.3,14)”.
Giordano Bruno nel suo “Il triplice minimo e la misura” scrive a sua volta: “Più giustamente del volgo e dei retori affermiamo che noi non possiamo scorgere il punto originario della luce (che né con il senso né con la ragione derivata dal senso possiamo determinare in rapporto al punto d’origine), ma la sua diffusione”, poiché “l’aspetto sostanziale si manifesta in quell’atto specifico in virtù del quale dall’oceano della sostanza spirituale, attraverso la porta del cuore, entriamo e usciamo verso il medesimo oceano, per la medesima porta dell’anima”. Un’intelligenza che è un’armonia invisibile governa l’universo e questa intelligenza e questa armonia è il Logos eracliteo, che nel Prologo di Giovanni è theos ed è in Arché presso theon e poiché una parte del Logos è
compresa in noi, ecco che noi possiamo accedere alla sua conoscenza ed ecco il motivo per il quale il Logos “è la luce degli uomini”. Ad aiutarci nel cammino sono gli archetipi, Arché typos, impronte dell’Archè (neter egizi, dèi greci, angeli e geni), principi che dal Principio principiante, l’Archè, il Puro Pensiero, emergono in forza del Logos, che è theos, ossia manifestazione. Il vocabolo theos deriva dalla sostantivazione del verbo theeîn, correre e del verbo theâsthai, vedere. Pertanto il potere improntante e determinativo dell’Arché, ossia il Logos, agisce inducendo un correre verso l’evidenza, ossia un manifestarsi (uscire alla luce), di ciò che è tenebroso, un distendersi ordinato di ciò che è racchiuso e caotico. La luce del Logos e il soccorso degli archetipi comunicano con il linguaggio simbolico, il quale è la lingua esoterica che conduce al vero sapere. Il vero sapere, infatti, non consiste nel conoscere una moltitudine di cose, ma nel conoscere il pensiero dal quale sono governate tutte le cose e questo vero sapere è la saggezza, che deriva dall’esperienza di vita (Venere), dal superamento delle prove (Ercole) e dal soccorso della Sapienza (Minerva).
Arrestiamoci qui, poiché il Divino è Archè, racchiuso abisso insondabile, Principio principiante, Puro Pensiero e lasciamoci invadere dal suo soffio, quello spiritus che è il Logos, il quale accende il nostro intelletto, quando incamminati sulla via iniziatica, siamo illuminati dal suo bagliore. Potremo così essere degli entusiasti, ossia ènthous (da èn theos), viandanti nel mondo terreno ricolmi del Divino, perché ci siamo finalmente riconosciuti in quanto frammenti del Logos.
Serenissimo Gran Maestro
Fr. Silvano Danesi